Caporalato e mafia: storie di riscatto (extracomunitario)
Ha ragione il Ministro Maurizio Martina quando equipara il fenomeno del caporalato al fenomeno mafioso. Il caporalato è una sfumatura, una delle tante sfaccettaure in cui si concretizza la “mafia”. Il caporalato ha origini molto antiche, si tratta di una forma di sfruttamento dei lavoratori per cui la possibilità di prestare lavoro è subordinata al versamento di una parte della paga al c.d. Caporale. Il caporale principalmente svolge attività di intemediazione illecita dei lavoratori.
Tale caporale rappresenta per molti lavoratori una figura di riferimento, una risorsa di cui non si può fare a meno, altamente sconsigliato inimicarselo. Per questo l’esercito dei lavoratori stagionali, o meglio una porzione di essi, data anche l’interminabile crisi economica in cui imperversa ancora la nostra economia viene soggiogata. Ricattata dalla paura di perdere il lavoro. Costretti a lasciare circa il 20% della paga ai loro intermediari che nella migliore delle ipotesi offrono il servizio di trasporto dai ghetti (perlopiù masserie abbandonate nelle quali vivono in condizioni disumane decine e decine di extracomunitari pronti a servire nei campi a seconda delle disponibilità lavorative) o dai centri delle città ai campi interessati. Oltre al servizio di trasporto, costretti a pagare il panino per il pranzo e l’acqua.
Non si deve assolutamente pensare che il fenomeno sia da relegare solo ai lavoratori extracomunitari, quasi sempre non muniti di alcun tipo di documento o con permessi irregolari. Il fenomeno colpisce anche lavoratori e lavoratrici connazionali. Nel nostro territorio, la Puglia. Dalla Capitanata al Tarantino è una pratica molto diffusa. Nei maggiori centri a vocazione agricola, il lavoro estivo stagionale per molti ragazzi è costituito dall’acinellatura dell’uva da tavola sotto i caldissimi tendoni e dalla raccolta del pomodoro. Lavori faticosi per pochi euro ad ora. Tutto questo accade sotto l’occhio disattento di uno Stato che non ha i mezzi per contrastare il fenomeno. I controlli sono poco diffusi a causa di una ristretta presenza di personale. Definisco disattento lo stato poiché non è molto difficile notare le masserie di cui sopra. Oppure la costante presenza di lavoratori nelle ore più calde ai bordi delle strade di campagna. In realtà come in tanti altri frangenti in cui dovrebbe essere impegnato lo Stato, vi è una tendenza a fingere di non rilevare nulla fino a quando non ci scappa il morto. E’ il caso di questa calda stagione estiva in cui a perdere la vita sono stati diversi i morti. Coinvolte anche madri di famiglia costrette a percorrere molti km per arrivare ai campi. E’ particolarmente noioso quando i mass media scoprono e rivolgono tutta la loro attenzione a qualcosa di consueto e illecitamente normale. Per poi dimenticarsene quando l’attenzione si sposta su altro. Appare doveroso staccare una lancia a favore dei nostri organi legislativi che nel 2012 hanno rilevato la necessità di punire penalmente il reato di caporalato. Se teniamo conto del fatto che il reato di caporalato è stato introdotto solo nel 2012 e grazie ad un ragazzone di nome Yvan Sagnet, la lancia di cui sopra la tireremmo appresso ai nostri rappresentanti. La storia di Yvan è a riprova di come si può essere extracomunitari ma Cittadini. Cittadini responsabili e coraggiosi. In barba al dipinto che il politico felpato fa ogni giorno dei nostri fratelli extracomunitari. Nessuno aveva mai avuto il coraggio di ribellarsi ai caporali prima dell’agosto del 2011. Nessun italiano bracciante stagionale lo aveva mai fatto a Nardò. Uno dei centri agricoli più importanti della nostra regione Puglia. Quando nessuno ha il coraggio di alzare la testa e ribellarsi perchè “è cosi che funziona” è allora che si concretizza il fenomeno mafioso. Accettare le condizioni dettate da chi si arricchisce sfruttando il faticoso lavoro degli altri è mafia.
Da questa sua storia Yvan ne ha fatto un libro “Ama il tuo sogno” ed è nata anche una carriera sindacale. Yvan che con un permesso riesce ad arrivare in Italia per studiare al Politecnico di Torino. Scopre che nel Salento cercano manodopera per la raccolta del pomodoro e decide di trasferirsi e lavorare per mantenere i suoi studi. Qui nasce la sua storia e la vittoria. (Qui il link dell’articolo di Repubblica http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2012/10/17/news/saviano_ragazzo_africano-44685428/ che racconta la storia del giovane studente a firma Roberto Saviano).
“La speranza del mezzogiorno italiano sta proprio in questa parte d’Africa che arrivata al Sud, lo trasforma e rimette in gioco interi territori, migliorandoli. Rischia la vita per una democrazia diversa, battaglia che molti italiani hanno rinunciato a combattere”. Cosi conclude Saviano.
Spero che la nostra battaglia, il ministro Martina la faccia davvero. Ed è una battaglia che deve vedere protagonisti tutti, a prescindere dal colore della pelle. Questa calda estate penso abbia già dimostrato che la morte non fa alcun tipo di distinzioni.
Perdere la vita per pochi spiccioli, arricchendo putridi personaggi è una storia che non può permettersi di raccontare un Paese come il nostro. Altrimenti non ci resterà che condividere l’amara verità di Roberto Saviano.
Mino Matera
Tale caporale rappresenta per molti lavoratori una figura di riferimento, una risorsa di cui non si può fare a meno, altamente sconsigliato inimicarselo. Per questo l’esercito dei lavoratori stagionali, o meglio una porzione di essi, data anche l’interminabile crisi economica in cui imperversa ancora la nostra economia viene soggiogata. Ricattata dalla paura di perdere il lavoro. Costretti a lasciare circa il 20% della paga ai loro intermediari che nella migliore delle ipotesi offrono il servizio di trasporto dai ghetti (perlopiù masserie abbandonate nelle quali vivono in condizioni disumane decine e decine di extracomunitari pronti a servire nei campi a seconda delle disponibilità lavorative) o dai centri delle città ai campi interessati. Oltre al servizio di trasporto, costretti a pagare il panino per il pranzo e l’acqua.
Non si deve assolutamente pensare che il fenomeno sia da relegare solo ai lavoratori extracomunitari, quasi sempre non muniti di alcun tipo di documento o con permessi irregolari. Il fenomeno colpisce anche lavoratori e lavoratrici connazionali. Nel nostro territorio, la Puglia. Dalla Capitanata al Tarantino è una pratica molto diffusa. Nei maggiori centri a vocazione agricola, il lavoro estivo stagionale per molti ragazzi è costituito dall’acinellatura dell’uva da tavola sotto i caldissimi tendoni e dalla raccolta del pomodoro. Lavori faticosi per pochi euro ad ora. Tutto questo accade sotto l’occhio disattento di uno Stato che non ha i mezzi per contrastare il fenomeno. I controlli sono poco diffusi a causa di una ristretta presenza di personale. Definisco disattento lo stato poiché non è molto difficile notare le masserie di cui sopra. Oppure la costante presenza di lavoratori nelle ore più calde ai bordi delle strade di campagna. In realtà come in tanti altri frangenti in cui dovrebbe essere impegnato lo Stato, vi è una tendenza a fingere di non rilevare nulla fino a quando non ci scappa il morto. E’ il caso di questa calda stagione estiva in cui a perdere la vita sono stati diversi i morti. Coinvolte anche madri di famiglia costrette a percorrere molti km per arrivare ai campi. E’ particolarmente noioso quando i mass media scoprono e rivolgono tutta la loro attenzione a qualcosa di consueto e illecitamente normale. Per poi dimenticarsene quando l’attenzione si sposta su altro. Appare doveroso staccare una lancia a favore dei nostri organi legislativi che nel 2012 hanno rilevato la necessità di punire penalmente il reato di caporalato. Se teniamo conto del fatto che il reato di caporalato è stato introdotto solo nel 2012 e grazie ad un ragazzone di nome Yvan Sagnet, la lancia di cui sopra la tireremmo appresso ai nostri rappresentanti. La storia di Yvan è a riprova di come si può essere extracomunitari ma Cittadini. Cittadini responsabili e coraggiosi. In barba al dipinto che il politico felpato fa ogni giorno dei nostri fratelli extracomunitari. Nessuno aveva mai avuto il coraggio di ribellarsi ai caporali prima dell’agosto del 2011. Nessun italiano bracciante stagionale lo aveva mai fatto a Nardò. Uno dei centri agricoli più importanti della nostra regione Puglia. Quando nessuno ha il coraggio di alzare la testa e ribellarsi perchè “è cosi che funziona” è allora che si concretizza il fenomeno mafioso. Accettare le condizioni dettate da chi si arricchisce sfruttando il faticoso lavoro degli altri è mafia.
Da questa sua storia Yvan ne ha fatto un libro “Ama il tuo sogno” ed è nata anche una carriera sindacale. Yvan che con un permesso riesce ad arrivare in Italia per studiare al Politecnico di Torino. Scopre che nel Salento cercano manodopera per la raccolta del pomodoro e decide di trasferirsi e lavorare per mantenere i suoi studi. Qui nasce la sua storia e la vittoria. (Qui il link dell’articolo di Repubblica http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2012/10/17/news/saviano_ragazzo_africano-44685428/ che racconta la storia del giovane studente a firma Roberto Saviano).
“La speranza del mezzogiorno italiano sta proprio in questa parte d’Africa che arrivata al Sud, lo trasforma e rimette in gioco interi territori, migliorandoli. Rischia la vita per una democrazia diversa, battaglia che molti italiani hanno rinunciato a combattere”. Cosi conclude Saviano.
Spero che la nostra battaglia, il ministro Martina la faccia davvero. Ed è una battaglia che deve vedere protagonisti tutti, a prescindere dal colore della pelle. Questa calda estate penso abbia già dimostrato che la morte non fa alcun tipo di distinzioni.
Perdere la vita per pochi spiccioli, arricchendo putridi personaggi è una storia che non può permettersi di raccontare un Paese come il nostro. Altrimenti non ci resterà che condividere l’amara verità di Roberto Saviano.
Mino Matera
SAPERE AUDE
“Libertà è partecipazione” cantava Giorgio Gaber, e i ragazzi del Liceo G.Tarantino hanno dimostrato di aderire virtuosamente a questo principio, mettendosi in gioco, insieme a noi, nell’iniziativa “Libertà è”.
Dieci tavoli tematici, in cui si è discusso della libertà nelle sue forme più concrete, hanno visto incontrarsi e scontrarsi i pensieri di ragazzi brillanti che, con le loro idee, sono riusciti ad abbattere il cliché della generazione sprecata, fatta di “bamboccioni” apatici e disinteressati a tutto quello che li circonda. Al contrario, con mio grande orgoglio, ho avuto modo di confrontarmi con giovani svegli, pieni di domande e curiosità che non hanno esitato ad esporre, avidi di sapere e capaci di muoversi con destrezza tra gli argomenti più scottanti della nostra quotidianità. Ragazzi informati, capaci di rispondere con prontezza alle provocazioni che gli venivano poste; ragazzi sicuri delle proprie idee, ma allo stesso tempo aperti al confronto con la visione opposta, e pronti a dare il proprio contributo per il benessere collettivo della società. É stata, a mio parere, un’esperienza sorprendente, che mi ha dato la forza e il coraggio di ricominciare a credere in un futuro prospero per il nostro Paese. Crescere in queste condizioni, oggi, non è facile: siamo i giovani della crisi, della disoccupazione, figli di una società che coltiva l’ignoranza, il cinismo, la passività e l’oscurantismo, ma siamo pronti ad affrontare la sfida. Non accettiamo di essere ridotti al silenzio, vogliamo farci sentire con il coro unisono delle nostre voci stanche, ma potenti. Abbiamo orizzonti da raggiungere, mete da conquistare e siamo pronti ad affrontare qualunque ostacolo per risultare vincitori. Vogliamo offrire i nostri talenti e le nostre idee al servizio della collettività, credendo fermamente nelle possibilità di crescita del nostro Paese. Siamo delusi da un mondo egoista e utilitarista, ma non disillusi: un futuro meno buio è ancora possibile e il segreto sta nello studio, nella conoscenza, nell’informazione e nella collaborazione.
Mai il kantiano motto “SAPERE AUDE” ci è stato così vicino: è il momento di abbandonare lo stato di minorità in cui siamo stati relegati e tirar fuori il coraggio di servirci della nostra intelligenza per attribuire nuovi e sani valori alla nostra società.
Arcangela Guglielmi
Dieci tavoli tematici, in cui si è discusso della libertà nelle sue forme più concrete, hanno visto incontrarsi e scontrarsi i pensieri di ragazzi brillanti che, con le loro idee, sono riusciti ad abbattere il cliché della generazione sprecata, fatta di “bamboccioni” apatici e disinteressati a tutto quello che li circonda. Al contrario, con mio grande orgoglio, ho avuto modo di confrontarmi con giovani svegli, pieni di domande e curiosità che non hanno esitato ad esporre, avidi di sapere e capaci di muoversi con destrezza tra gli argomenti più scottanti della nostra quotidianità. Ragazzi informati, capaci di rispondere con prontezza alle provocazioni che gli venivano poste; ragazzi sicuri delle proprie idee, ma allo stesso tempo aperti al confronto con la visione opposta, e pronti a dare il proprio contributo per il benessere collettivo della società. É stata, a mio parere, un’esperienza sorprendente, che mi ha dato la forza e il coraggio di ricominciare a credere in un futuro prospero per il nostro Paese. Crescere in queste condizioni, oggi, non è facile: siamo i giovani della crisi, della disoccupazione, figli di una società che coltiva l’ignoranza, il cinismo, la passività e l’oscurantismo, ma siamo pronti ad affrontare la sfida. Non accettiamo di essere ridotti al silenzio, vogliamo farci sentire con il coro unisono delle nostre voci stanche, ma potenti. Abbiamo orizzonti da raggiungere, mete da conquistare e siamo pronti ad affrontare qualunque ostacolo per risultare vincitori. Vogliamo offrire i nostri talenti e le nostre idee al servizio della collettività, credendo fermamente nelle possibilità di crescita del nostro Paese. Siamo delusi da un mondo egoista e utilitarista, ma non disillusi: un futuro meno buio è ancora possibile e il segreto sta nello studio, nella conoscenza, nell’informazione e nella collaborazione.
Mai il kantiano motto “SAPERE AUDE” ci è stato così vicino: è il momento di abbandonare lo stato di minorità in cui siamo stati relegati e tirar fuori il coraggio di servirci della nostra intelligenza per attribuire nuovi e sani valori alla nostra società.
Arcangela Guglielmi
LA COMUNE ITALIA PRIVATA
"Che futuro vedo? per l'Italia... Nessuno!" così Montanelli rispose all'intervista di Alain Elkann. Mi sono chiesto come uno storico, giornalista di fama mondiale potesse essere così cinico riguardo la sua Nazione. Ebbene,dovremmo partire da una distinzione: patria e popolo. Guardando nella nostra storia scorgeremo che, seppur breve, è ricca di soli personaggi, ma nessun accenno ad atti o eventi che hanno onorato la patria come popolo:Dante,da Vinci,persino Colombo e Vespucci, fautori di una nuova nazionalità intera che oggi primeggia e detta le sorti del mondo, ma nessuno ricorda le grandi gesta del popolo italiano.Persino l'unità d'Italia è macchiata da episodi che caratterizzano questa dicotomia.Non mi soffermo sulla casualità o meno con cui è nata la nostra nazione, ma su un evento particolare: l'incontro di Teano tra il re Vittorio Emanuele II e Garibaldi con i restanti dei mille prima "dell'obbedisco" quando i mille rifiutarono il saluto al re andando contro l'ordine del loro generale. Ignoranza? Voglia di ribellione? Anarchia? No,fame; e chi fino ad allora l'aveva assopita o quasi(non era la prima volta che i mille disobbedivano a Garibaldi) era il loro capitano. Si racconta che dopo tale evento Garibaldi, stizzito, e rifugiatosi per riposare in una "tavernaccia",abbia esclamato <<rimarrà sempre putrida>> mentre sorseggiava un boccale d'acqua con chiaro riferimento a quei suoi uomini. Il lavoro era incompiuto e lungo...l'Italia era pronta ma il suo popolo non ancora e questo perché gli Italiani non avevano combattuto per la patria o meglio avevano combattuto per l'idea comune d'Italia, ma nei fatti ognuno aveva una sua propria idea privata d'Italia.Già, PRIVATA, come participio passato del verbo privare come qualche poeta oggigiorno sostiene. Ma perché? Le dominazioni straniere avevano(e hanno) impedito all'italiano di poter pensare come una comunità: l'unica cosa che si poteva fare era(ed è) prenderla e privarla per renderla propria... Una grande e grossa comune privazione. E cosa ne viene fuori? Bé, un'accozzaglia di diverse persone, di culture, di colori, una maschera (l'Arlecchino?), un costume che tutt'ora noi indossiamo per pigrizia, o perché non siamo coscienti, o perché siamo dalla memoria corta, o perché i fatti a noi italiani non piacciono e preferiamo le ideologie...già ancora oggi dopo 154 anni, il popolo italiano non è riuscito a dimostrare l'amore verso la propria terra se non dietro ideologie o persone che garantiscano loro la sopravvivenza.tutto è lecito purché ci sia quel po' che basti per tirare a campare...no a 21 anni suonati non si può credere che l'Italia conosca solo l'arte di arrangiarsi,no io voglio credere che anche quel manipolo di ragazzi nel 1860 avessero un sogno non ancora estinto:un'Italia amata tanto l'amassero loro. Cosa ci rimane dunque se non rimuovere le barriere costruite e ricordarsi della propria patria libera e comune, come la ginestra di Leopardi, così che nessuna lava possa distruggerla...no ideologie,no persone,ma fatti e sperare che il futuro "sia brillante" anche per l'Italia grazie agli italiani!
Auguri Italia! Auguri Italiani!
Alessandro Ventura
Auguri Italia! Auguri Italiani!
Alessandro Ventura
Coalizione sociale: dubbi e verita'
Una via di mezzo tra un partito ed un movimento? No, è la cosiddetta coalizione sociale di Maurizio Landini. Una creatura ancora allo stato embrionale, in cui non si è ben capita la propria natura socio-culturale che sta, non poco, agitando il panorama politico e sindacale italiano. È innegabile che le organizzazioni di rappresentanza siano oggi in crisi. I numeri parlano da soli: sempre meno tesserati ai partiti e sempre meno italiani che si recano alle urne da un lato e sempre meno membri dei sindacati dall’altro. Un sindacato che nelle sue riflessioni non rappresenta più larga parte dei lavoratori e per questo deve cambiare. Ma cambiare per Landini non significa una revisione completa della struttura e del modello confederale, quanto invece aprirsi all’esterno, allargarsi e fare da federatore di tutti quei movimenti e associazioni con le quali si possono portare avanti battaglie comuni. Guardando fuori dal panorama italiano e quindi alla storia recente potremmo avere diversi dubbi su questa soluzione come formula per il rinnovamento del sindacato italiano. In particolar modo analizzando due significative esperienze provenienti dalla Spagna e dagli Stati Uniti.
La prima è quella di stampo statunitense secondo la quale il sindacato in crisi, con numeri di iscritti sotto il 20%, deve uscire da sé stesso e ricostruirsi a partire da una dimensione movimentista. A partire dalle manifestazioni di Seattle contro il G8 del 2000, passando per il World Social Forum, ha condotto all’ulteriore calo del numero degli iscritti ai sindacati. Parallelamente si stanno diffondendo sempre di più associazioni di lavoratori auto-organizzati che, al di fuori delle logiche sindacali classiche, portano avanti battaglie importanti con discreti risultati. Queste si concentrano soprattutto nei settori dove il sindacato non rappresenta i lavoratori, come i fast-food, il commercio all’ingrosso e i lavoratori domestici.
La seconda esperienza è quella alla quale la nuova “cosa” di Landini viene paragonata: il partito Podemos in Spagna. Creatura politica nata dall’esperienza degli indignados, di cui facevano parte disoccupati e lavoratori precari e sottopagati, questa sembra basarsi su una logica speculare a quella proposta dal sindacalista della Fiom. Si tratta infatti di una iniziativa che non nasce dal sindacato, ma nasce in opposizione ad esso (prova ne è che da Podemos è nato un nuovo sindacato autonomo, Somos) e quindi “dal basso”, si direbbe.
Il modello di Landini, e la storia da cui nasce, sembra non avere le caratteristiche di queste due esperienze e non nasce certo dal basso, non nasce da sollevazioni e manifestazioni popolari, non nasce da quella che potremmo chiamare la vita della società. È un modello di rappresentanza che vuole costruire dall’alto. Sembrerebbe una nuova federazione che possa tener dentro disoccupati, lavoratori precari e lavoratori autonomi senza rinnegare però la natura sindacale, come Landini ha più spesso ricordato. Ci troviamo quindi davanti ad una logica tutt’altro che sussidiaria ma caratterizzata da un certo dirigismo. La struttura si pone quindi come una nuova confederazione che possa rappresentare i non rappresentati, facendo leva proprio su questo vuoto. E il limite sembra essere proprio nel fatto che tutto questo non nasce dal mondo del lavoro, non nasce dalla volontà dei lavoratori, ma dalla solita classe degli intellettuali borghesi. Una specie di contrapposizione ad hoc alla società civile, individuata da Podemos, lasciata vuota nella sua rappresentatività e quindi da contrapporre a Renzi.
Ovviamente i dubbi sono palesi, ma c'è da sottolineare che tutto ciò che dice Landini ha dei fondamenti veritieri: in Italia c'è una vera esigenza di riforma del sindacato che finalmente deve modernizzarsi ed essere realmente vicino alle esigenze dei lavoratori, così come politicamente il rapporto individuo-società deve essere ripreso nel dibattito politico, con i fatti, e non messo da parte dalle emergenze economiche. Spero che Landini si faccia portavoce di una riforma che tiene al lavoro e ai lavoratori senza creare soggetti politici o sindacali estranei, ma riformare con coraggio le preesistenti. In fin dei conti i sondaggi riportano una grande stima nurtrita dagli italiani per i sindacati, seppur le critiche. Creare una realtà al di fuori di esso, senza che questa nasca direttamente dai lavoratori, ma dall’alto, rischia di compromettere ancora di più il senso e l’immagine delle parti sociali.
Il lavoratore oggi ha bisogno di un sostegno nella sua continua formazione, nella riqualificazione nei momenti in cui si trova senza lavoro, di un’organizzazione che riesca ad aiutarlo nel riconoscere le competenze che può spendere su un mercato del lavoro che va velocissimo. Un sindacato moderno che sappia guardare alle sue origini novecentesche, che assieme al lavoratore tasti la realtà e la cambi proteggendolo, però consapevole che il mondo del lavoro sta cambiando. La stessa consapevolezza della Sinistra italiana che deve essere sempre più moderna e dinamica.
Luigi Sette
La prima è quella di stampo statunitense secondo la quale il sindacato in crisi, con numeri di iscritti sotto il 20%, deve uscire da sé stesso e ricostruirsi a partire da una dimensione movimentista. A partire dalle manifestazioni di Seattle contro il G8 del 2000, passando per il World Social Forum, ha condotto all’ulteriore calo del numero degli iscritti ai sindacati. Parallelamente si stanno diffondendo sempre di più associazioni di lavoratori auto-organizzati che, al di fuori delle logiche sindacali classiche, portano avanti battaglie importanti con discreti risultati. Queste si concentrano soprattutto nei settori dove il sindacato non rappresenta i lavoratori, come i fast-food, il commercio all’ingrosso e i lavoratori domestici.
La seconda esperienza è quella alla quale la nuova “cosa” di Landini viene paragonata: il partito Podemos in Spagna. Creatura politica nata dall’esperienza degli indignados, di cui facevano parte disoccupati e lavoratori precari e sottopagati, questa sembra basarsi su una logica speculare a quella proposta dal sindacalista della Fiom. Si tratta infatti di una iniziativa che non nasce dal sindacato, ma nasce in opposizione ad esso (prova ne è che da Podemos è nato un nuovo sindacato autonomo, Somos) e quindi “dal basso”, si direbbe.
Il modello di Landini, e la storia da cui nasce, sembra non avere le caratteristiche di queste due esperienze e non nasce certo dal basso, non nasce da sollevazioni e manifestazioni popolari, non nasce da quella che potremmo chiamare la vita della società. È un modello di rappresentanza che vuole costruire dall’alto. Sembrerebbe una nuova federazione che possa tener dentro disoccupati, lavoratori precari e lavoratori autonomi senza rinnegare però la natura sindacale, come Landini ha più spesso ricordato. Ci troviamo quindi davanti ad una logica tutt’altro che sussidiaria ma caratterizzata da un certo dirigismo. La struttura si pone quindi come una nuova confederazione che possa rappresentare i non rappresentati, facendo leva proprio su questo vuoto. E il limite sembra essere proprio nel fatto che tutto questo non nasce dal mondo del lavoro, non nasce dalla volontà dei lavoratori, ma dalla solita classe degli intellettuali borghesi. Una specie di contrapposizione ad hoc alla società civile, individuata da Podemos, lasciata vuota nella sua rappresentatività e quindi da contrapporre a Renzi.
Ovviamente i dubbi sono palesi, ma c'è da sottolineare che tutto ciò che dice Landini ha dei fondamenti veritieri: in Italia c'è una vera esigenza di riforma del sindacato che finalmente deve modernizzarsi ed essere realmente vicino alle esigenze dei lavoratori, così come politicamente il rapporto individuo-società deve essere ripreso nel dibattito politico, con i fatti, e non messo da parte dalle emergenze economiche. Spero che Landini si faccia portavoce di una riforma che tiene al lavoro e ai lavoratori senza creare soggetti politici o sindacali estranei, ma riformare con coraggio le preesistenti. In fin dei conti i sondaggi riportano una grande stima nurtrita dagli italiani per i sindacati, seppur le critiche. Creare una realtà al di fuori di esso, senza che questa nasca direttamente dai lavoratori, ma dall’alto, rischia di compromettere ancora di più il senso e l’immagine delle parti sociali.
Il lavoratore oggi ha bisogno di un sostegno nella sua continua formazione, nella riqualificazione nei momenti in cui si trova senza lavoro, di un’organizzazione che riesca ad aiutarlo nel riconoscere le competenze che può spendere su un mercato del lavoro che va velocissimo. Un sindacato moderno che sappia guardare alle sue origini novecentesche, che assieme al lavoratore tasti la realtà e la cambi proteggendolo, però consapevole che il mondo del lavoro sta cambiando. La stessa consapevolezza della Sinistra italiana che deve essere sempre più moderna e dinamica.
Luigi Sette
TRA RIFORME E RIFORMISMO: SVOLTA AUTORITARIA?
Tra
“riforme e riformismo” il Governo guidato da Matteo Renzi, in questi mesi
iniziali dell'anno porta a casa i primi risultati.Tra gli elementi del vasto programma di riforme annunciato e in buona parte avviato, fa molto discutere il ddl Boschi con annessa Legge Elettorale c.d. Italicum. Disegno di legge di riforma della seconda parte della Carta Costituzionale che porta il nome del Ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, già approvato dal Senato della Repubblica, in seguito approvato (voto per singoli emendamenti) anche dalla Camera dei Deputati in seduta fiume nelle movimentate notti di inizio febbraio e nella sua interezza dalla Camera dei Deputati il 10 Marzo. Adesso, cosi come modificata dagli inquilini di Montecitorio, dovrà tornare a Palazzo Madama dove dovrà essere riconfermata per chiudere la prima fase del procedimento di revisione della Costituzione. Procedimento aggravato, regolato dall'art138 della Costituzione che prevede la doppia deliberazione per ciascuna Camera distante almeno tre mesi l'una dall'altra. La riforma pone in primis l'obiettivo di semplificare l'attività di legislazione del parlamento attraverso l'eliminazione del bicameralismo paritario trasformando il Senato della Repubblica in Camera delle Autonomie. Eliminando cosi le “navette parlamentari”. La Camera Alta quindi si trasformerà in una camera di rappresentanza delle autonomie locali. La funzione legislativa in via principale sarà demandata solo alla Camera dei Deputati, mentre al nuovo senato saranno riservate poche competenze. Innanzitutto non potrà più votare la fiducia ai governi in carica, mentre la sua funzione principale sarà quella di "funzione di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica".
Conserverà il suo potere di voto solo per riforme costituzionali, leggi costituzionali, leggi sui referendum popolari, leggi elettorali degli enti locali, diritto di famiglia, matrimonio e salute e ratifiche dei trattati internazionali.
100 è il numero dei Senatori che siederanno sugli scranni di Palazzo Madama che saranno così ripartiti: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 personalità illustri nominate dal presidente della Repubblica.
I consiglieri regionali saranno eletti proporzionalmente dai consigli regionali di provenienza, non percepiranno indennità ma conserveranno l'immunità(nota dolente).
Inoltre ogni Consiglio Regionale dovrà eleggere Senatore un sindaco del territorio.
Scompare la figura del Senatore a vita sostituito da Personalità illustri nominate dal presidente della Repubblica che dureranno in carica un settennato.
Riformato anche l'art.117 della costituzione, tanto caro agli studenti di giurisprudenza, già riformato con la riforma del 2001, in una logica di accentramento dei poteri nelle mani dello Stato Centrale. Prevista la possibilità di poter commissariare le Regioni in caso di dissesto finanziario. Le Province già abolite da una legge del Parlamento, scompariranno dalla Costituzione lasciando completamente il passo alle Città Metropolitane. Soppresso il Cnel e previsto un tetto agli stipendi di Presidente e consiglieri regionali, che non può essere superiore a quello dei sindaci dei capoluoghi di Regione. Più potere anche per gli inquilini di Palazzo Chigi, infatti per i disegni di legge governativi sarà prevista una corsia legislativa preferenziale che permetterà al governo di chiedere alla Camera di pronunciarsi entro 60 giorni.
Diverse le critiche mosse nei confronti del nuovo assetto istituzionale appena delineato. Su tutte, la critica più feroce e ricorrente è quella di una presunta “svolta autoritaria”.
Una critica pregiudizievole e superficiale, ovviamente alimentata da ragioni meramente politiche.
Per ultimo a metterci del suo è stato l'ex presidente del consiglio Massimo D'Alema che durante la trasmissione televisiva Ballarò commentava : “con il nuovo assetto è a rischio la tenuta democratica del Paese”. L'ex-premier risultava particolarmente preoccupato dal fatto che i nuovi senatori saranno dei “non eletti” perchè cooptati dai consigli regionali, e questi potranno modificare la Costituzione. In realtà i non eletti dai cittadini erano i senatori eletti con la lista bloccata su base regionale della legge Porcellum. Che nessuno, compreso D'Alema, ha mai avuto la volontà di voler davvero superare.
I nuovi senatori saranno eletti dai consigli regionali, composti da consiglieri regionali democraticamente eletti dai propri territori.
E' innegabile che graverà sulle spalle dell'elettore una maggiore responsabilità, poiché gli eletti oltre a ricoprire la carica di Consigliere Regionale potrebbero ricoprire anche la carica di Senatore della Repubblica. Vale lo stesso ragionamento per le soppresse elezioni provinciali: i consigli metropolitani sono composti da consiglieri comunali eletti tra i consiglieri comunali dei comuni dell'area metropolitana. In sostanza aumenta il lavoro e la responsabilità per alcuni consiglieri. Non si può negare che si sono ridotti gli spazi di articolazione democratica ma ridotto drasticamente anche il numero delle poltrone.
Probabilmente è questo che fa paura ai sostenitori dello status quo. Fa paura a chi non ha mai avuto il coraggio di tirare dritto e superare le forze della conservazione. Altra contraddizione confacente all'idea che si tratti di critiche meramente strumentali è il dato di fatto che la riforma delle istituzioni cosi come concepita da questo governo e della maggioranza di questo Parlamento rispecchia in buona parte quella contenuta nel programma de L'Ulivo. Programma sottoscritto allora dai principali frondisti della attuale minoranza-dem. Ma sappiamo tutti come è finita quella straordinaria stagione.
Tra “riforme e riformismo” il governo guidato da Matteo Renzi, non si è arenato.
Lo stesso Premier ha confermato la volontà di ricorrere al referendum confermativo alla conclusione dell'iter parlamentare per la riforma della Costituzione(chiaro elemento di svolta autoritaria) anche qualora la stessa riforma fosse approvata in seconda lettura con i 2/3 dei voti da ciascuna Camera, ipotesi alquanto improbabile con il quadro politico delineatosi all'indomani dell'elezione del Presidente della Repubblica. Il “capolavoro politico” per l'elezione di Sergio Mattarella al Quirinale ha privato il Premier della collaborazione di Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, il quale seppur nel marasma generale del suo Partito è riuscito a ricompattarlo sul voto contrario alla riforme. Riforme oltretutto concordate tra i due leader con il c.d. Patto del Nazareno. (E' la politica, bellezza!)
La strada a questo punto comincia a farsi più intricata per il Presidente del Consiglio e il Partito Democratico che per portare a termine il lungo iter parlamentare di riforma dovranno evitare le trappole che la minoranza-dem sarà pronta a tendere pur di raggiungere il suo obiettivo: distruggere l'ennesimo leader.
Mino Matera
Conserverà il suo potere di voto solo per riforme costituzionali, leggi costituzionali, leggi sui referendum popolari, leggi elettorali degli enti locali, diritto di famiglia, matrimonio e salute e ratifiche dei trattati internazionali.
100 è il numero dei Senatori che siederanno sugli scranni di Palazzo Madama che saranno così ripartiti: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 personalità illustri nominate dal presidente della Repubblica.
I consiglieri regionali saranno eletti proporzionalmente dai consigli regionali di provenienza, non percepiranno indennità ma conserveranno l'immunità(nota dolente).
Inoltre ogni Consiglio Regionale dovrà eleggere Senatore un sindaco del territorio.
Scompare la figura del Senatore a vita sostituito da Personalità illustri nominate dal presidente della Repubblica che dureranno in carica un settennato.
Riformato anche l'art.117 della costituzione, tanto caro agli studenti di giurisprudenza, già riformato con la riforma del 2001, in una logica di accentramento dei poteri nelle mani dello Stato Centrale. Prevista la possibilità di poter commissariare le Regioni in caso di dissesto finanziario. Le Province già abolite da una legge del Parlamento, scompariranno dalla Costituzione lasciando completamente il passo alle Città Metropolitane. Soppresso il Cnel e previsto un tetto agli stipendi di Presidente e consiglieri regionali, che non può essere superiore a quello dei sindaci dei capoluoghi di Regione. Più potere anche per gli inquilini di Palazzo Chigi, infatti per i disegni di legge governativi sarà prevista una corsia legislativa preferenziale che permetterà al governo di chiedere alla Camera di pronunciarsi entro 60 giorni.
Diverse le critiche mosse nei confronti del nuovo assetto istituzionale appena delineato. Su tutte, la critica più feroce e ricorrente è quella di una presunta “svolta autoritaria”.
Una critica pregiudizievole e superficiale, ovviamente alimentata da ragioni meramente politiche.
Per ultimo a metterci del suo è stato l'ex presidente del consiglio Massimo D'Alema che durante la trasmissione televisiva Ballarò commentava : “con il nuovo assetto è a rischio la tenuta democratica del Paese”. L'ex-premier risultava particolarmente preoccupato dal fatto che i nuovi senatori saranno dei “non eletti” perchè cooptati dai consigli regionali, e questi potranno modificare la Costituzione. In realtà i non eletti dai cittadini erano i senatori eletti con la lista bloccata su base regionale della legge Porcellum. Che nessuno, compreso D'Alema, ha mai avuto la volontà di voler davvero superare.
I nuovi senatori saranno eletti dai consigli regionali, composti da consiglieri regionali democraticamente eletti dai propri territori.
E' innegabile che graverà sulle spalle dell'elettore una maggiore responsabilità, poiché gli eletti oltre a ricoprire la carica di Consigliere Regionale potrebbero ricoprire anche la carica di Senatore della Repubblica. Vale lo stesso ragionamento per le soppresse elezioni provinciali: i consigli metropolitani sono composti da consiglieri comunali eletti tra i consiglieri comunali dei comuni dell'area metropolitana. In sostanza aumenta il lavoro e la responsabilità per alcuni consiglieri. Non si può negare che si sono ridotti gli spazi di articolazione democratica ma ridotto drasticamente anche il numero delle poltrone.
Probabilmente è questo che fa paura ai sostenitori dello status quo. Fa paura a chi non ha mai avuto il coraggio di tirare dritto e superare le forze della conservazione. Altra contraddizione confacente all'idea che si tratti di critiche meramente strumentali è il dato di fatto che la riforma delle istituzioni cosi come concepita da questo governo e della maggioranza di questo Parlamento rispecchia in buona parte quella contenuta nel programma de L'Ulivo. Programma sottoscritto allora dai principali frondisti della attuale minoranza-dem. Ma sappiamo tutti come è finita quella straordinaria stagione.
Tra “riforme e riformismo” il governo guidato da Matteo Renzi, non si è arenato.
Lo stesso Premier ha confermato la volontà di ricorrere al referendum confermativo alla conclusione dell'iter parlamentare per la riforma della Costituzione(chiaro elemento di svolta autoritaria) anche qualora la stessa riforma fosse approvata in seconda lettura con i 2/3 dei voti da ciascuna Camera, ipotesi alquanto improbabile con il quadro politico delineatosi all'indomani dell'elezione del Presidente della Repubblica. Il “capolavoro politico” per l'elezione di Sergio Mattarella al Quirinale ha privato il Premier della collaborazione di Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, il quale seppur nel marasma generale del suo Partito è riuscito a ricompattarlo sul voto contrario alla riforme. Riforme oltretutto concordate tra i due leader con il c.d. Patto del Nazareno. (E' la politica, bellezza!)
La strada a questo punto comincia a farsi più intricata per il Presidente del Consiglio e il Partito Democratico che per portare a termine il lungo iter parlamentare di riforma dovranno evitare le trappole che la minoranza-dem sarà pronta a tendere pur di raggiungere il suo obiettivo: distruggere l'ennesimo leader.
Mino Matera
cosa è pensieri liberi?
In questi due giorni siamo partiti, all'interno del nostro sito con i primi due articoli del nostro blog, PENSIERI LIBERI, che più che blog amiamo definirlo uno SPEAKER'S CORNER virtuale!
Scevro dalle progettualità e da fini partitici o politici di sorta, questo "parlatoio" virtuale è rivolto a TUTTI :)
Anzi ci farebbe piacere che chi volesse ci contattasse sul profilo Fb di Lab Experience o via email (labex[email protected]) per postare qualcosa che sente di esternare, insomma dire la sua! Dall'ambiente, alla serie Tv che più ama, agli scenari internazionali passando per lo sport! PENSIERI LIBERI nel vero senso della parola.
Lab Experience, come laboratorio di cultura politica, si promette di perseguire il suo progetto di LIBERTA' E' e di incentivazione della storia politica italiana ed estera, della buona politica e del buon senso civico. Sempre e continuerà a farlo.
Riteniamo opportuno che un sano dibattito culturale possa avvenire anche su una piattaforma di condivisione di pensiero, di pluralità di idee e di visioni diverse del nostro territorio, della nostra Italia o del Mondo!
Noi abbiamo rotto il ghiaccio! Vi aspettiamo! :)
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